Erminia Bressi

Si laurea in Fisica delle alte energie all’Università di Pisa nel 2006. Si specializza sugli acceleratori di particelle, come quelli del CERN di Ginevra. Dal 2007 è al CNAO – Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica di Pavia dove, nel ruolo di fisico degli acceleratori, si occupa della qualità e dell’efficacia del fascio di particelle che viene utilizzato per distruggere le cellule tumorali, regolando l’intensità e la grandezza del fascio a seconda delle diverse tipologie di casi clinici trattati.

iconmonstr-quote-5-240 So che il mio lavoro può dare speranza ad altre persone, così come io stessa spero che, un giorno, arrivi la telefonata che mi dica “abbiamo trovato una cura per tua figlia”. iconmonstr-quote-7-240

Ribaltare lo stereotipo del ricercatore, del topo da biblioteca immerso nelle sudate carte o sommerso dalla polvere degli archivi, del nerd da laboratorio con le spalle spioventi e una malcelata ossessione per Star Wars. Se è questo quello che siamo venuti a fare anche qui a Pavia, Erminia Bressi è la nostra donna. Giovane, statuaria nel mini abito dai colori sgargianti che nasconde a malapena i tatuaggi, sicura ed energica su tacchi audaci, sorride anche se sappiamo che la storia che sta per raccontarci è tutt’altro che leggera, anche se ci accoglie nell’atrio del CNAO, dove la ricerca prova a dare speranze a chi le sta perdendo tutte.

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Non solo un lavoro

Erminia arriva a Pavia nel 2006 insieme a Luciano, da Pisa, dove hanno studiato fisica. Entrambi di Catanzaro, uniti nella città toscana che sa come far sentire a casa qualsiasi fuorisede, si ritrovano catapultati all’indomani della laurea al CNAO. «Avevamo vinto il dottorato di ricerca, qui cercavano due figure che avrebbero dovuto lavorare subito per l’installazione dell’acceleratore», racconta con una nota di rimpianto. «Appena arrivati qui, attaccavamo alle 6 del mattino e andavamo via alle 3 di notte. Non sarebbe stato possibile prendere un altro titolo di studio. All’inizio ci è pesato un po’, ma devo dire che il lavoro che siamo andati a fare è stato talmente interessante che questa frustrazione si è dissolta».

Un lavoro che per Erminia è molto più di un impiego. Al CNAO, dove si occupa degli acceleratori di particelle per l’adroterapia oncologica, vive in prima persona tutta la fatica, le sconfitte e i successi di un settore della ricerca che coinvolge i destini di tante persone. «So che il mio lavoro può dare speranza ad altre persone, così come io stessa spero che, un giorno, arrivi la telefonata che mi dica “abbiamo trovato una cura per tua figlia”. Il mio lavoro lo era già prima che nascesse Elettra, ma dopo aver vissuto in prima persona questa situazione lo è ancora di più». Elettra, la prima figlia di Erminia e Luciano, è affetta dalla sindrome di Williams, una grave disabilità che le ha causato disturbi cardiaci. Da poco è arrivata anche la diagnosi di autismo grave. «Il lavoro a volte, per me, è anche una distrazione. Non riuscirei a gestire la situazione familiare stando sempre a casa o facendo un lavoro diverso che mi lasciasse del tempo libero per pensare. Quando sono qui devo concentrarmi su altre cose e avere altri obiettivi oltre ai problemi familiari».

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Soli in una città nuova

Da ricercatrice che si trova a vivere sulla propria pelle la situazione di tante persone in attesa di scoperte in grado di aiutare i propri familiari, la motivazione è ancora più forte. «Sappiamo che per la malattia di Elettra al momento non c’è possibilità di cura, ma nel nostro piccolo ci consideriamo fortunati anche solo perché possiamo dare un nome a questa malattia. Le malattie genetiche sono talmente tante che alcune non hanno nemmeno diagnosi e moltissime persone continuano a non sapere cos’ha il proprio figlio, brancolando nel buio. Noi sappiamo cos’ha Elettra, abbiamo una rete di famiglie che hanno gli stessi problemi, diverse associazioni che indirizzano i genitori per le terapie e per gli aspetti clinici».

Soli in una città nuova, senza supporto delle famiglie d’origine, Erminia e Luciano possono contare sul lavoro di squadra dei tanti terapisti che seguono Elettra. «Ma a casa, poi, la gestione è totalmente nostra. Avere una valvola di sfogo è fondamentale». E per Erminia, è lo sport: kick boxing e crossfit principalmente, in palestra, a casa e outdoor. «Il mio lavoro richiede tanta concentrazione e a volte è molto frustrante – perché la ricerca a volte ti porta sulla strada giusta, mentre altre volte dopo mesi e mesi ti accorgi di aver fatto la cosa sbagliata – e la gestione della vita familiare è estremamente impegnativa. Così, da circa cinque anni ho iniziato a vivere lo sport al 100%».

Erminia racconta che, a parte la sindrome di Williams in un certo senso gestibile, l’autismo grave ha complicato le cose in famiglia. «Elettra non parla, è completamente non verbale, ha un suo libro in cui indica le parole per comunicare con gli altri. E ci riteniamo comunque fortunati perché riesce a comunicare in questo modo. È chiaro che nei rapporti sociali, sia con adulti che non la conoscono che con bambini, è complicato. È difficile valutare la sua percezione del mondo esterno. Ha un ritardo cognitivo abbastanza importante, quindi non so se riesce a percepire appieno di essere così diversa, ma io da mamma lo vedo e la sofferenza c’è».

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Nella ricerca la speranza

Il fratello, Ettore, ha due anni ma è già consapevole che la sorella maggiore è diversa rispetto agli altri bambini. «A volte Elettra ha delle crisi di nervosismo per la frustrazione di non riuscire a farsi capire e lui cerca di calmarla: la prende per mano e la porta da me. È piccolo ma ha già ben chiaro il fatto che la nostra situazione familiare non è convenzionale. Non pretende dalla sorellina una forma di condivisione che lei non può dare. Ettore è già diventato un bambino molto autonomo rispetto ai suoi due anni». Per Elettra e Luciano lavoro e famiglia sono un tutt’uno. «Lavorare qui mi aiuta a non demoralizzarmi, a pensare in modo costruttivo e soprattutto a razionalizzare, rispetto ad altre famiglie che vivono una situazione simile alla nostra. Sono consapevole che purtroppo ci sono cose che accadono per una casualità genetica e sappiamo che la ricerca ha grossi limiti: ci vogliono anni per cercare delle cure. Anch’io spesso penso: se dovessero diagnosticarmi un tumore, come la prenderei? Sapendo che ci sono molte cure ma che, in molti casi, possono esserci tanti fattori contro. Lavorare in un posto così aiuta a riflettere, continuamente».
La capacità di razionalizzare arriva dalla consapevolezza, ma non tutti hanno gli anticorpi esistenziali per reggere il peso di un mondo “posto a caso”, come lo vorrebbe il Democrito dantesco capostipite di tutti i fisici a venire. E così i parenti e i concittadini catanzaresi di Erminia cercano di annullare la lontananza e di alleviare la preoccupazione per la piccola Elettra con tutti gli strumenti in loro possesso, a partire dal potere consolatorio della religione. «Quando Elettra ha fatto il terzo intervento a cuore aperto aveva tre mesi: i miei genitori hanno organizzato una messa nel mio paese ed erano tutti lì che pregavano per lei. Per loro, l’intervento è andato bene grazie alla funzione, non per merito del chirurgo che ha avuto per cinque ore e mezza una bambina di tre mesi sotto i ferri e la lucidità di avere sempre la mano ferma».

Elettra sta crescendo, è una bambina serena e per Erminia questo è già un dono. Elettra cresce e le differenze con i suoi coetanei sono sempre più evidenti, le difficoltà superate vengono sostituite ogni giorno da problemi forse ancora maggiori. «Man mano che passa il tempo ci si rende conto come deve essere la “normalità”. Spero solo di vivere abbastanza a lungo da poter gestire sempre io Elettra. È il mio unico pensiero, la cosa che mi auguro sempre per lei».

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