Giulia Valeria Sonzogno

Dottoranda in Urban Studies and Regional Science, Social Sciences, presso il Gran Sasso Science Institute dell'Aquila, referente per il Comitato Tecnico Aree Interne presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri del progetto Officina Giovani Aree Interne.

iconmonstr-quote-5-240 Montare a cavallo ti costringe ad essere molto sicura di te. Essendo delle prede hanno l'istinto di scappare. Bisogna quindi essere forti, decisi. Avere lo spirito di sacrificio, responsabilità nel prendersi cura di loro. Ti portano a volere andare oltre e a non badare alla stanchezza. iconmonstr-quote-7-240

I giovani, questi sconosciuti. Fiumi di parole, scaffali di librerie, film e podcast dedicati alla Generazione 56K. Eppure, la narrazione su di loro è spesso imperfetta, impacciata, piena di stereotipi. La verità è che i giovani ci fanno paura, anzi terrore, perché rappresentano il futuro.  Un futuro che per loro sicuramente non si presenta roseo.

Tra febbraio e luglio si sono persi infatti 375mila posti nella fascia tra i 15 e i 34 anni di età. A luglio il tasso di disoccupazione per i 15-24enni ha toccato il 31,1% tornando sopra il 30% per la prima volta da aprile 2019 ed è salito al 15,9% per i 25-34enni. Tra gli 85mila nuovi occupati di luglio solo 6mila sono under 24, mentre nella fascia 25-34 anni gli occupati sono scesi di 3mila unità.

I nuovi dati dell’Istat sono inequivocabili. Sentenziano che l’Italia, non è un paese per giovani. Ma di loro se ne interessano tutti. O meglio ne parlano tutti. Una miriade di promesse, evidentemente irrealizzabili. Rassicurazioni, sostenendo che si tratta di una priorità occuparsene. Cosa particolare, poi, nel panorama nostrano, che dei giovani se ne occupano coloro che da tempo sono entrati nell’età adulta. Insomma, poche prospettive ma anche meno possibilità di farsi sentire. Per questo quando incontriamo Giulia Sonzogno a L’Aquila ci troviamo di fronte a una grande possibilità, quella di squarciare il velo di Maya che avvolge queste tematiche. Un’occasione per andare nel profondo del problema.

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I giovani al centro del villaggio

«Mi occupo di politiche europee per la prossima generazione. La mia tesi di dottorato al Gran Sasso Science Institute si focalizza su: implementazione Recovery Plan, politiche europee per le nuove generazioni, politiche per le aree interne e periferiche e per favorire opportunità per i giovani in questi territori. Si tratta di un percorso di ricerca-azione. L’Europa e l’Italia non possono perdere questa grande opportunità di rilancio. Puntare sulle nuove generazioni e sul potenziale inutilizzato del nostro paese è fondamentale». Giulia è giovane, una trentenne come tante. Ci accoglie nella sua casa al centro del capoluogo abruzzese, seduta sul suo divano arancione e l’inseparabile smartphone nelle mani, ci racconta dei suoi studi e dell’idea che per cercare di rendere protagonista la meglio gioventù bisogna trasformare il concetto di partecipazione per intraprendere la strada del coinvolgimento finalizzato alle politiche e ai progetti.  Facile da dire, difficile da applicare soprattutto se l’obiettivo sta nel promuovere opportunità di futuro nelle aree interne del nostro paese. Zone che spesso vengono viste come territori marginali ma che rivestono invece circa tre quinti del territorio italiano e raccolgono quasi un quarto della popolazione stessa. Fungono, insomma, da casa per oltre 13 milioni di persone: periferici geograficamente sì, demograficamente non proprio. «L’Italia è fatta di piccoli paesi. È la rete dei paesi a definire l’identità delle regioni italiane, la pluralità del paesaggio: paesi fitti o radi, assolati o grigi, svettanti sulla cima dei colli o aggrappati alle pendici», ci spiega Giulia. Paesi o borghi? Qui Giulia, mette mano alla pistola. 

«Il borgo mi da l’idea di presepe. Un contenitore più che un contenuto mentre il paese, per me, vuol dire comunità, insieme di relazioni e funzioni che includono le persone, le loro attività, i loro sentimenti di appartenenza e di vicinato. Ma bisogna capire come usare in modo efficace le risorse per ridurre le disuguaglianze sociali e territoriali che nel tempo si sono andate a creare soprattutto per le nuove generazioni. I giovani delle aree interne necessitano di spazi di dialogo con amministrazioni che siano più aperte, sostengano le iniziative dei giovani o che almeno non le ostacolino».

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Resistere per rilanciarsi

Essere isolati e con l’idea di essere l’ultima frontiera del West può portare a essere diffidenti soprattutto se poi chi viene a discutere di progetti e di rilancio arriva dalla capitale, è giovane e sembra avere tutte le carte giuste del mazzo. «Cerco sempre il dialogo. Bisogna conoscere e camminare il luogo, anzitutto. Chi vive in questi paesi è rimasto perché prova amore per queste zone. Non si può arrivare e dire di portare con sé la ricetta per il rilancio ma bisogna iniziare a costruire un qualcosa insieme, partendo dall’ascolto». Quando Giulia ci parla dei paesi che ha visitato, da Nord a Sud, da Est a Ovest le brillano gli occhi. È un fiume in piena. Racconta dei tantissimi chilometri percorsi, della macchina diventata una seconda casa, un ufficio o un luogo dove cambiarsi ma soprattutto con le sue storie ci porta in Campania, in Abruzzo, in Veneto. Viviamo le sue serate passate a discutere, confrontarsi, ridere e mangiare con gli abitanti, con chi ha deciso di restare, di resistere e di rilanciarsi. «Giro l’Italia e questo mi consente di conoscere tantissime persone, storie e realtà. Tutto questo mi trasmette tantissima energia anche per svolgere attività di volontariato».

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Superare gli ostacoli

Insomma, quella di Giulia non è la vita di una classica ricercatrice, soprattutto di scienze sociali. Se la immaginate sepolta tra i libri in biblioteca vi sbagliate. È una studiosa in azione che non si ferma mai. Mente e corpo in continuo movimento. Una voglia di conoscere, una voglia di essere.
Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Ma non è così. Il mondo – come diceva Monica Vitti –  è di chi è felice di alzarsi.
E Giulia è entusiasta di farlo. Una forza che viene da lontano, dall’altra parte della Luna. Non quella più buia ma quella più importante. Quella che ha formato la Giulia di oggi.
«Parte fondamentale della mia vita è andare a cavallo. Una passione trasmessa da mio padre. Un modo anche per stare di più insieme soprattutto dopo il divorzio dei miei».

Tempo e spazio per i cavalli, tempo e spazio per stare con suo padre. Giulia possiede due cavalli. Con Lancilotto, cavallo di 18 anni l’amore è concreto, indissolubile. Compagno di mille gare e di giornate. Mentre con La Finta Frascatana, di 9 anni, il rapporto e la fiducia crescono giorno dopo giorno. «Durante gli anni dell’università mi sono allenata tutti i giorni. Il maneggio si trovava a mezz’ora dall’università». Per Giulia andare a cavallo non è un semplice sport, la gara non è vista come un momento ma un pezzo del suo essere, un frammento del puzzle di quello che è e sarà un giorno. ‘Montare a cavallo ti costringe ad essere molto sicura di te. Essendo delle prede hanno l'istinto di scappare. Bisogna quindi essere forti, decisi. Avere lo spirito di sacrificio, responsabilità nel prendersi cura di loro. Ti portano a volere andare oltre e a non badare alla stanchezza». 

Andare oltre, con questo spirito affronta le gare alle quali partecipa e che l’aiutano anche nella sua sfera lavorativa. «Nel mondo dell'equitazione uomini e donne gareggiano insieme, questo mi ha portato a essere più spavalda». Sì, la questione di genere. Tema caro a Giulia. «Non mi piace pensare a noi donne come una specie da proteggere. Ma per cercare di cambiare il giro alla giostra forse, in alcuni frangenti, è necessario prevedere delle quote rosa. Così per riequilibrare un po’ le cose». All’inizio di questa storia siamo partiti dicendo che l’Italia non è un paese per giovani. Sì, è necessario un cambio di paradigma ma l’aver conosciuto Giulia ci fa ben sperare che questo possa accadere ma per farlo è necessario vedere la vita, lo studio e il lavoro come un percorso a ostacoli. Bisogna saltare, provarci e mai paralizzarsi.

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