Valeria Lencioni

Conservatrice scientifica presso il MUSE – Museo delle Scienze di Trento, con ruolo di coordinatrice dell’Ambito Clima ed Ecologia nell’Ufficio Ricerca e Collezioni museali. Conduce ricerche nel settore dell’ecologia delle acque interne, ecologia dello stress e fisiologia animale in collaborazione con università ed altri enti di ricerca, in Italia e all’estero.

iconmonstr-quote-5-240 Fare ricerca in un museo offre la possibilità di uscire dalla torre d’avorio e rendere partecipi i cittadini delle nostre scoperte, aumentare la conoscenza e consapevolezza dei problemi del nostro tempo. È molto stimolante raccontare al pubblico il nostro lavoro. iconmonstr-quote-7-240

In principio fu MasterChef, format importato dagli USA ma subito italianizzato e digerito dalle masse in cerca di un virtuoso mix tra thrilling, spaghetti scotti ed eliminazioni spietate. Dopo circa due lustri, il focus voyeuristico sulla cucina in tv è letteralmente esploso, trascinando un’audience sempre più ampia ed eterogenea davanti agli schermi. Per la verità, questa tendenza bulimica ha sconfinato anche sui grandi schermi, con la realizzazione di commedie con una visione edulcorata del lavoro ai fornelli. Programmi tv, film e festival ci hanno trasformato. Oramai le nostre serate al ristorante sono accompagnate da quelle espressioni un po’ così, che hanno gli esperti delle guide culinarie. Siamo sempre pronti, un po’ come accade a Bruce Banner, a trasformarci in mostri verdi della critica culinaria. Ecco, perché quando ci imbuchiamo a cena a casa di Valeria Lencioni a Verona veniamo accolti dalla conservatrice del Muse di Trento con la stessa eccitazione che hanno i coniugi Drayton quando incontrano John Prentice in ‘Indovina chi Viene a cena?’

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Aggiungi un posto a tavola

Diffidenza che si dissolve al primo brindisi e soprattutto grazie alla simpatia di suo marito Leonardo e del piccolo di casa Federico.

Leonardo ci racconta del primo incontro con Valeria. «Era venuta con un collega per un congresso al Museo di Storia Naturale di Verona. Eravamo già in contatto, nell’ambito dei musei naturali ci si conosce tutti. (n.d.r Leonardo è curatore zoologo del Museo di Storia Naturale di Verona). Aveva la nomea di una che lavora molto, brava e anche un po’ rompiscatole. Una volta abbiamo collaborato alla realizzazione di una pubblicazione, lei coordinava l’opera e sono stato l’ultimo a consegnare il mio contributo. Non sapete quante mail mi ha mandato per sollecitarmi. Prima del convegno di Verona non ci eravamo mai visti, al congresso è scoccato il colpo di fulmine».

Tempo di un altro brindisi e siamo seduti a tavola per l’inizio della cena. Valeria ai fornelli si è superata. «La passione per la cucina viene da mio padre, chef ora in pensione. Lo osservavo ai fornelli e quella dedizione e precisione sono stati degli elementi che ho portato poi nel laboratorio nel corso della mia vita da ricercatrice. Sono sempre alla ricerca di “ricette” per studiare i fenomeni naturali».

Il mondo dei fornelli e quello delle provette non sono poi così lontani. Da fine anni Settanta, diversi scienziati appassionati di gastronomia (Nicholas Kurti, Harold McGee e Hervé This tra gli altri) cominciano a interessarsi ai processi fisici e chimici che avevano luogo in cucina. Si trattava di un movimento che voleva spiegare il perché di queste reazioni, e al quale diedero il nome di “gastronomia molecolare”. Di fatto, si trattava di una pratica corrente da decenni nell’industria alimentare, ma in questo c’era una novità fondamentale, e cioè che si concentrava sulla cucina. Divulgarono le loro ricerche e le pubblicarono anche con successo, ma, salvo rare occasioni, non ci fu purtroppo alcun rapporto con i grandi cuochi.

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Invisibili ma importanti

Cucinare significa quindi conoscere – la storia, le tecniche, i prodotti, la tradizione e la modernità, i processi culinari – pensare, sperimentare, riflettere, scegliere e anche fare ricerca scientifica.

«Vedo molte analogie – ci spiega Valeria – un tavolo può diventare un bancone di laboratorio come ci è capitato durante il lockdown. Faccio ricerca sui chironomidi, piccoli moscerini che non pungono, che nella fase giovanile vivono in acqua, e che con 6600 specie hanno colonizzato l’intero pianeta. Nelle lunghe giornate trascorse in casa abbiamo creato un set per attirarli in cucina. La sera, tavolo, pareti e fornelli sono diventati luoghi di raccolta di questi insetti (la scelta di abitare lungo le rive di un fiume è stata strategica). Siamo riusciti anche a scoprire una nuova specie ed è stato bellissimo ed emozionante registrare la scoperta con il nome di mio figlio, ‘Synorthocladius federicoi'». Valeria è affascinata dai chironomidi, in particolare da quelli che vivono in ambienti alpini, ne studia la biologia adattativa per capire con quali strategie resistono al gelo e allo stesso tempo per capire se potranno sopravvivere al riscaldamento globale e all’inquinamento da farmaci. «Con il mio gruppo di ricerca al Muse stiamo studiando zuccheri e proteine che consentono alle specie di chironomidi che vivono in torrenti glaciali di ibernarsi e che l’uomo potrebbe utilizzare per surgelare carne e verdura o per congelare cellule e organi. Quella glaciale è una fauna interessante da studiare perché sconosciuta ai molti, non sta sotto i riflettori, non rientra nei piani di monitoraggio nazionali, ed è a rischio di estinzione». Già, perché spesso ci dimentichiamo che gli insetti ci superano sia in quantità che in peso. Fondamentalmente, questo è il loro pianeta. Non il nostro.

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Un po’ scienziata e un po’ comunicatrice

Mentre siamo al dolce e ci scopriamo ignoranti davanti al catalogo del pittore del Cinquecento Giovan Francesco Caroto, Valeria racconta del suo mondo al Muse. Il suo essere una curatrice in un museo scientifico: un po’ scienziata e un po’ comunicatrice.

«Fare ricerca in un museo ha i suoi vantaggi e svantaggi rispetto a enti che hanno come mission principale la ricerca. Siamo alla costante ricerca di fondi per mantenere il nostro team di ricercatori e poter dare continuità ai nostri studi, non potendo bandire direttamente posti per dottorati e avendo pochi fondi istituzionali per borse di studio. Abbiamo una bassa massa critica, ma con passione, costanza, impegno e ambizione siamo diventati un centro di eccellenza in alcuni settori come per esempio l’ecologia degli ambienti montani. Il museo non è solo luogo di intrattenimento. Molti ospiti non sono a conoscenza che in un museo come il nostro vi è un settore dedicato alla ricerca e quando visitano i nostri laboratori rimangono piacevolmente colpiti».

Dimentichiamo spesso l’evoluzione alla quale i musei sono andati incontro, in particolare per quanto riguarda il suo rapporto con il pubblico. In origine, infatti, il lavoro del museo ruotava intorno alla conservazione e valorizzazione del suo patrimonio materiale. Oggi invece il pubblico ha guadagnato una posizione sempre più centrale nella mission e nell’organizzazione del museo. Questa centralità è ancora più evidente nel caso dei musei scientifici e in particolare dei science center, che sono caratterizzati dall’assenza (completa, o parziale) di un patrimonio materiale e sono basati su attività di tipo pratico e partecipativo. Insomma, un’“istituzione […] aperta al pubblico”, si fa ricerca e si fa comunicazione e si mette la cultura a disposizione di tutti con i suoi oggetti, i suoi concetti e si cerca il coinvolgimento dei pubblici più diversi.

«Fare ricerca in un museo offre la possibilità di uscire dalla torre d’avorio e rendere partecipi i cittadini delle nostre scoperte, aumentare la conoscenza e consapevolezza dei problemi del nostro tempo. È molto stimolante raccontare al pubblico il nostro lavoro. È un arricchimento, è uno stimolo, ci permette di capire quali sono i bisogni della società e su cosa indirizzare le nostre ricerche, in collaborazione con chi gestisce, amministra, e prende decisioni sul nostro futuro. Il museo offre spazi e strumenti ideali per raccontare, dialogare e ispirare sui temi della natura, della scienza e della sostenibilità».

Uno stimolo in più per Valeria nel lavorare al Muse è quello di vedere, dalle grosse finestre, le montagne. Luoghi di ispirazione, così come i torrenti. «L’acqua che scorre si porta via pensieri e preoccupazioni e allo stesso tempo libera la mente e fa nascere nuove idee. Di recente ho portato mio figlio sul torrente Sarca di Nambino, a Madonna di Campiglio, proprio dove andavo a festeggiare l’ultimo giorno di scuola con i miei compagni di classe. È stato emozionante entrarci con lui dopo tanti anni». È tempo di andare prima di essere cacciati da casa di Valeria. Non rimane però, come nella migliore tradizione dei format televisivi, dare il nostro voto alla cena. Dieci, ovviamente.

Scendendo le scale dopo questa splendida serata una domanda ci accompagna: ma chi è Caroto?

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